La bottiglia di Teofrasto, come quella di Colombo, non si è più ritrovata.
Al suo corpo galleggiante lo scolarca di Atene aveva affidato un’idea la cui dimostrazione d’esattezza sarebbe dipesa dal ritrovamento della bottiglia stessa. Al di là dell’esito del suo esperimento, l’idea di Teofrasto, ovvero che il Mediterraneo fosse soltanto un bacino del grande Oceano, era giusta in sé. Era così giusta, che superava in conoscenza il suo stesso ideatore, il quale non poteva sapere con certezza che milioni d’anni prima Pangea, emersa dalle acque, si era spezzata in quattro continenti e che il nostro mare era forse tutto ciò che restava dell’antica Tetide. Credo che un’idea contenga sempre una quantità proporzionale di fiamma divina. L’idea non lo è, ma la fiamma sì, la fiamma è immune da dualismi di giudizio. Lo affermo per euristica. Non posseggo una morale; solo il mio buon senso. Se invece l’idea non è immune, significa che è esposta al giudizio. Quindi vuole dire che vaga nel mondo. In questa luce, non è meno libera della fiamma che se ne sta al di sopra. L’idea, una volta creata, è di tutti. È libera. Come l’arte. O meglio, come l’arte dovebbe essere. Tant’è che mi chiedo per gusto di quali aporie affermo che l’arte è libera e poi chiudo la mia in bottiglia. C’è già tanta letteratura sotto vetro e c’è così poca libertà intorno. Se dicessi che una volontà compensativa al mio amore per le opere di grandi dimensioni si è data da fare in autonomia, non direi il falso, ma me la caverei con poco. C’è di più. Sono tornato ai miei stilemi originali, ai segni e alle forme che praticavo un tempo. Ho tolto figure, volti, oggetti che trovavo ed usavo qui, nel nostro mondo. Li ho cancellati dall’esperienza. È solo me stesso, quindi, che attraverso un numero non ancora precisabile di dettagli, intendo rinchiudere là dentro. Ne sono abbastanza certo perché sarebbe in armonia, non grazie alle variabili imperfette del caso, di questo sono invece sicuro, con un sogno attuale e ricorrente: m’accade di trovarmi, senza corpo né età, nel ventre materno. Non il ventre di una madre qualunque, ma della mia, la stessa che mi ha dato questa vita. Sempre e soltanto lei, una ed eterna. È il luogo deputato al ritorno di un nuovo inizio. Ognuna di queste bottiglie, ventre, universo, amnio che sia, è un’unità di misura infinita. Ognuna racchiude, come avrebbe detto Johann Fichte, Io e Non Io divisibili. Il vetro è quella fragilità, nell’Essere, che rappresenta la Sua maggiore potenza. Infine è evidente che abbia avuto inizio, attraverso la forma espressiva delle Opere in Bottiglia, il processo di deframmentazione del loro ideatore. Paolo Buzi |